ISOLA DI PANAREA
UN ARCIPELAGO NELL'ARCIPELAGO
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I resti delle capanne sono lì, disseminati sul terreno, lungo uno zoccolo
che si protende sul mare a venti metri d'altezza. Sono le testimonianze
della vita a Panarea dell'ultimo uomo della preistoria. Questo insediamento
preistorico, ritrovato sull'estrema punta meridionale dell'isola, ha dato
il nome a una cultura, quella appunto di Capo Milazzese. Come si sia conclusa
questa civiltà, perchè di colpo quella cultura sia sparita, non è dato sapere:
è certo che tutti gli insediamenti preistorici della zona, tra cui anche quelli
di Capo Graziano a Filicudi, di Portella a Salina, del Castello a Lipari, hanno
avuto una fine improvvisa e catastrofica attorno al 1250 avanti Cristo.-
I segni ritrovati con gli scavi fanno pensare a un incendio fulmineo, distruttivo:
un'apocalittica eruzione dei vulcani? Forse fu per questa ragione che per secoli
nessuna traccia di vita rimarrà nelle Eolie intere, dopo quella tragica data.
Tanto che poco prima della venuta di Cristo, Diodoro Siculo potrà scrivere:
" Dicono che le Isole Eolie nell'antichità fossero deserte ".-
Delle sette sorelle eoliane, Panarea è la più piccola, ma anche la più antica:
lunga appena tre chilometri, larga due, è stata la prima a sorgere dal mare,
forse meno di mezzo milione di anni fa. Ed è nata dall'immane esplosione di un
unico complesso vulcanico sottomarino che si è dissolto in mille pezzi, creando
un piccolo arcipelago a sè stante del quale Panarea è il blocco più grosso e gli
isolotti Basiluzzo, Dattilo, Le Formiche, Lisca Bianca, Bottaro, Lisca Nera,
Panarelli sono i frammenti più piccoli.-
Un'altra tesi afferma invece che Panarea fu la più grande delle Eolie: perchè
assieme agli scogli e isolotti che la circondano formava un'unica isola, divisa
poi in tante parti dall'innalzamento del livello del mare. A conferma della
tesi, soccorre la toponomastica del gruppo di Panarea, dove Basiluzzo deriva
da basileus, il re, perciò ha il significato di isola regina, la più importante,
e Panarea significa tutto ciò che fu risparmiato dal cataclisma. Questa o quella,
la storia geologica di Panarea e tuttora ben visibile nelle varie parti dell'isola.
Ecco nella parete rocciosa di Cala Bianca quello che fu il condotto del vulcano
oggi riempito da brecce; ecco le alture di Castello e di Punta del Tribunale,
protrusioni prodotte dalla lava viscosa consolidatasi all'interno del condotto
vulcanico ed espulsa allo stadio solido; ecco ancora le fessure colonnari della
Calcara, parte interna di una cupola di ristagno per il resto sprofondata; lave a
colonne verticali, brecce eruttive, dicchi, prismi orizzontali e verticali,
costituiscono, assieme al mare, il fascino di questa piccola terra: la dolce
Panarea, come viene definita. Eppure, a chi vi arriva, tanto dolce non appare,
circondata com'è da coste aspre quasi a farne una fortezza irraggiungibile. Ma è
soltanto apparenza, un trucco della natura per difendere con barriere insormontabili
il paradiso che le rocce nascondono. E' proprio l'asperità del terreno ad avere dato
all'isola un motivo di fascino in più: qui infatti, contrariamente alle altre isole
dell'arcipelago, non è stato possibile formare veri e propri grandi centri abitati.
A parte i piccoli grappoli di abitazioni delle tre contrade di San Pietro, Drauto e
Ditella, nel resto di Panarea le case, tutte immacolate, imbiancate a calce, sono
disseminate qua e là, circondate dalla generosa vegetazione di tipo mediterraneo,
ricca di fichi d'India, di ginestre, di capperi e collegate tra loro da viuzze
silenziose, dai vicoli suggestivi dove per fortuna mai sarà possibile instaurare la
dittatura dell'automobile. In un ora di cammino, ad esempio, dalla località di San
Pietro si raggiunge, sopra Cala Junco, il villaggio preistorico. E con una passeggiata
altrettanto breve si arriva alla vetta più alta, il Timpone del Corvo a 421 metri
sul mare, da cui si ammira la fumante Stromboli, la cui cima pare sia stata sede di
un antico culto del dio Sole. O, ancora, salire alla contrada Ditella e da lassù
scendere per un sentiero sino ai sassi in riva al mare. Qui, dalle numerose fessure
escono vapori, l'acqua gorgoglia per le bolle di gas che salgono dal fondo. Ed è qui
che ai tempi della preistoria si praticava il culto dei inferi, e i sacerdoti lasciavano
cadere le offerte portate dai fedeli nei pozzetti roventi perchè giungessero direttamente
alle divinità. Se su Panarea, a Capo Milazzese come alla Calcara, si sono reperite
testimonianze dell'uomo preistorico, sull'isolotto di Basiluzzo si trovano tracce
della presenza romana. Distante circa tre chilometri da Panarea, del tutto disabitato,
frequentato soltanto nel periodo della raccolta del cappero, questo grande scoglio
vulcanico conserva sul pianoro resti di costruzioni romane, probabilmente ville
signorili, con qualche frammento di pavimenti a mosaico e di pareti dipinte. Sul
fondo del mare è inoltre visibile un rudere che si crede sia stato una darsena,
costruita durante l'età romana, sprofondata a causa di fenomeni bradisismici.-
Gli altri isolotti e scogli che circondano Panarea sono tutti considerati dagli
esperti residui di cupole di ristagno del complesso vulcanico sprofondati. Anche
se priva di reperti, questa serie di scogli merita di essere vista con un lungo
giro in barca per scoprire tutte le meraviglie di un mare, dove il blu cupo si alterna
al verde smeraldo, dove ogni tanto, come vicino a Bottaro, l'acqua pare ribollire.
E anche qui, come a Panarea, allo spettacolo del mare si aggiunge quello delle rocce
che sembrano formare incredibili paesaggi danteschi.-
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