ISOLA DI FILICUDI
UN VERO CAPOLAVORO
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Essa è anticipata da un ampio vestibolo e presenta, all'ingresso, un accesso
che si innalza ad arco acuto. La splendida volta è costituita da una roccia
compatta. Entrando si notano alcune rocce preminenti sulla destra, mentre le
pareti sulla sinistra ricadono a strapiombo fino in basso. Nel vestibolo della
grotta svolazzano numerose "Hirundo rupestris" dai cinerini colori.
All'interno volteggiano colombi selvatici che cercano qui rifugio alle calure.
Anche se fuori infuriano i marosi, la grotta conserva la sua imperturbabile
qiete, obbligando le onde a rifrangersi all'esterno. Sostando nella grotta si
è quindi avvinti dal suo piacevole tepore che invita dolcemente a "sognare".
Con queste righe, il Principe Luigi Salvatore d'Austria, gran navigatore e
innamorato delle Eolie, descriveva, circa un secolo fa, la Grotta del Bue
marino, principale attrattiva di Filicudi. Naturalmente non si arriva a Filicudi
soltanto per ammirare questa suggestiva grotta, una volta rifugio della foca
monaca, ormai sparita: l'isola offre infatti innumerevoli attrattive, col suo
mare cangiante dal blu al verde smeraldo; con gli scogli, le numerose grotte, le
coste impervie dalle pareti alte e rocciose che si alternano ad alcune spiagge.
Ecco, tra gli scogli nel Banco di Filicudi a nordovest la Canna: un obelisco
naturale alto ottantacinque metri, reso bianco in molte sua parti dagli escrementi
dei gabbiani: girandogli attorno, pare che cambi continuamente forma, simile ora
all'immagine della Madonna col Bambino, ora un veliero sospinto dal vento. Vicino,
si staglia la mole imponente dello scoglio Montenassari; e a poca distanza dalla
costa, il Giafante; lo scoglio della Fortuna, con la sua conca, che raccoglie
circa mille litri d'acqua ed è come una piccola piscina; poi la Mitra e ancora
il Notaro. Nei pressi della Grotta del Bue marino, si ammira un altro capolavoro
della natura, frutto di secoli di lavoro dei venti e del mare: la Punta del Perciato,
con diverse cavità in archi.-
Sull'isola, piccoli gruppi di bianche case a Filicudi Porto, nel borgo di Pecorini
e sull'altopiano di Rocca Ciauli nel villaggio di Valdichiesa, dove sorge l'unico
monumento dell'isola: il pittoresco tempio dedicato a Santo Stefano, risalente alla
metà del Seicento. Tutti insieme offrono quella sorprendente immagine di tranquillità
e di pace caratteristica di Filicudi. Un'immagine che riesce a far dimenticare
l'origine di questo piccolo paradiso: un'origine di fuoco, perchè l'isola è nata
dall'ammasso di materiali eruttati da diverse bocche vulcaniche in un periodo che va
da duecentomila a cinquantamila anni or sono. Edifici vulcanici ancor oggi riconoscibili
sull'isola, salvo il più antico ubicato in una zona successivamente sprofondata in
mare dinanzi alle ripide pareti di Fili di Sciacca, a nord della spiaggia di Porto.
Centri eruttivi erano a Zucco Grande, 278 metri, nel settore nord orientale; a Fossa
delle Felci, 744 metri; a monte Torrione, 278 metri; alla Montagnola; al promontorio
di Capo Graziano. Quest'ultima località sarebbe poi diventata, a distanza di migliaia
di anni, punto importante nella storia dell'uomo nel Mediterraneo. Il promontorio di
Capo Graziano (traduzione errata della definizione dialettale "crapaziano", da
crapa/crapazza, grosso masso o scoglio isolato) è una piccola penisola collegata
al resto dell'isola da una lingua di terra lunga e larga cinquecento metri, e ha
un'altezza massima di 174 metri. Qui, quasi quattromila anni fa, sbarcarono i primi
uomini: probabilmente greci provenienti dall'Egeo, che si stabilirono in riva al mare,
alle radici dell'estimo, costruendo capanne ovali con grossi ciottoli di spiaggia.
Siamo in piena età del Bronzo, attorno al XVIII secolo avanti Cristo. Gli scavi
hanno permesso di ipotizzare l'evoluzione della vita dell'uomo sull'isola e nelle
Eolie: scoperte che non hanno risolto, però, un paio di interrogativi. Il primo
riguarda il trasferimento del villaggio, prima esposto e indifeso sulla riva del
mare, sulla vicina Montagnola, dove gli abitanti trovarono rifugio, tra il XVII e il
XVI secolo avanti Cristo, costruendo le capanne su una terrazza lunga cento metri e
larga una trentina, sul versante orientale della ripida collinetta, a cento metri
di quota: una posizione scoscesa e quasi completamente inaccessibile, per tre lati
invisibile dal mare. Dopo essere vissuti in pace per circa cent'anni sulla spiaggia,
gli abitanti dovettero trasferirsi più in alto, in quella sorta di fortezza naturale.
Forse per sottrarsi agli attacchi di invasori o alle scorrerie di pirati? E' uno dei
misteri di questo capitolo dell'archeologia. L'altro mistero riguarda la fine dell'uomo
preistorico eoliano, di Filicudi come di Panarea, di Lipari, Salina, Stromboli, insomma
di tutto l'arcipelago. Dopo secoli di sviluppo, di incremento dei commerci, nel 1250
circa avanti Cristo di colpo avviene l'annientamento: i villaggi, come rivelano gli
scavi, vengono distrutti. Da chi? Da che cosa? Un immane e generale incendio? Un
terrificante terremoto? Interrogativi tuttora senza risposta.-
Soltanto qualche secolo dopo la vita riprenderà, su Filicudi come sulle altre isole
eoliane, con l'arrivo di nuovi popoli, nuove culture, nuove religioni.-
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